Mio padre


Gianni Nigro
Anni giovani
29/09/2011

Gianni Mario e Manuela Nigro
Mio padre è stato un artista, anzi, un pittore, come amava definirsi. In Lombardia per pittore si intende praticamente l’imbianchino, colui insomma che dietro compenso rivernicia le pareti di casa.
Credo che la questione in sé non lo abbia mai disturbato, tant’è vero che ha continuato a definirsi pittore, alla faccia di chi con tale termine indica un lavoro ritenuto diverso.
Mio padre amava dipingere, amava prendere in mano i pennelli, i pastelli a cera, le matite colorate, e dare vita su un supporto qualsiasi (tela, carte, cartone, legno) a delle immagini.
Le sue prime opere adolescenziali erano paesaggistiche. Raffigurava pagliai, marine, paesaggi toscani. Poi, frequentando la libreria Belforte, sfogliando i costosi libri di pittura (dei quali non poteva permettersi l’acquisto), capì, intuì, che esistevano nuove frontiere espressive nel mondo delle Arti figurative.
E subito le sperimentò.
Passò attraverso alcune esperienze pittoriche che non andrò ad elencare, per approdare finalmente a quella che egli stesso amava definire geometrico-astratta.
Ma non abbandonò mai il gesto del dipingere, ovvero il prendere un pennello e stendere la tinta su di una superficie. E lasciava che le sue mani restassero macchiate dai colori, che lo restassero le sue vesti. Perché si sentiva pittore, sì, anche artista, ma prima di tutto pittore.
Il termine arte è uno di quei nomi con i quali si indica tutto e a volte, volutamente o no, l’incontrario di tutto. A questo proposito mi tornano alla mente frasi lette qua e là che ora vado a riportare:

Charles Baudelaire:
L’artista non è tale se non a condizione di essere duplice e di non ignorare nessun fenomeo della sua doppia natura.

Wassily Kandinsky:
È bello ciò che scaturisce da interiore necessità psichica.
È bello ciò che è interiormente bello.


Oscar Wilde (da “Il ritratto di Dorian Gray”):
L’artista è il creatore della bellezza. Coloro che scorgono cattive intenzioni nelle belle cose sono corrotti, senza essere interessanti.
Il vizio e la virtù sono per l’artista materia d’arte. L’artista non ha preferenze etiche. Una preferenza di tal genere costituirebbe per un artista un imperdonabile manierismo stilistico.
Ogni arte è nel tempo stesso realistica e simbolica.
Possiamo indulgere verso un uomo che abbia fatto qualcosa di utile, purché non l’ammiri. Ma chi ha fatto una cosa i nutile può essere scusato solo se egli la ammira enormemente.
Tutta l’arte è completamente inutile.




Mio padre è morto l’11 agosto del 1992, alle sei e un quarto della mattina, mentre gli stavo tenendo la mano disidratata nonostante le flebo.

Di quei tremendi momenti, che ancora adesso, a distanza di più di vent’anni, non ho ancora superato, scrissi:


Nella luce violacea dell’alba
intuivo
al di là degli orridi edifici dell’ospedale,
la città dell’infanzia.
In quell’edificio
ero nato.
In quell’edificio
mio padre
aveva lavorato dieci travagliati anni.
In quell’edificio
mio padre
si spegneva
come una candela sotto a un bicchiere capovolto.
Mio padre giaceva su un fianco
accucciato
come un passerotto sparato.


Queste parole le ho scritte all’incirca attorno al 1995.